Di Manuela ARMIDA – Il dilemma che attanaglia un po’ tutti è: “il diritto alle cure dall’essere universale, è vicino a divenire inesigibile”? Una preoccupazione legittima se si pensa che l’emergenza coronavirus ha messo a fuoco il difficile bilanciamento tra vari diritti fondamentali del cittadino. Eppure, proprio la globalità delle prestazioni, l’universalità dei destinatari e l’eguaglianza del trattamento, furono le principali motivazioni che spinsero Tina Anselmi, la prima ministra della Repubblica, a riformare la Sanità, alla fine degli anni ‘70. L’obiettivo era quello di superare il sistema mutualistico (ancor’oggi in vigore in alcuni paesi), adeguandosi al dettato costituzionale. All’articolo 32, infatti, la nostra “Carta Fondamentale” definisce la tutela della salute come un diritto inalienabile ed universale, di cui ogni cittadino gode al momento della nascita, come vero e proprio patrimonio genetico.
In una situazione particolarmente critica come quella che da mesi stiamo vivendo, il sistema sanitario si ritrova a dover agire in un braccio di ferro a dir poco estenuante: da un lato, il dover fronteggiare un’emergenza che si è rivelata più infida e insidiosa del previsto e, dall’altro, non dimenticare le esigenze dei pazienti cosiddetti covid free, ai quali – da marzo – è stato chiesto di pazientare. Ma tutti noi conosciamo l’importanza della prevenzione e la necessità di eseguire diagnosi che, soltanto se effettuate in tempi utili, si rivelano salvifiche. Ferma restando la particolare condizione di questo ultimo anno, è giusto però fare anche chiarezza su tutte le altre esigenze, ugualmente meritevoli di tutela, di quei cittadini ai quali sono stati procrastinati o, addirittura, annullati accertamenti, visite e controlli di routine. Attività che erano state programmate – (ovviamente) già tardivamente – e che vanno riprogrammate, con ulteriori rinvii in un sistema notoriamente non puntuale e tempestivo.
Per questo, proprio per capire come la Sanità stia cercando di divincolarsi tra questi equilibri così sottili e delicati, ho voluto porre alcune domande alla Direzione Sanitaria di Ferrara che, sullo status quo delle liste d’attesa – già critiche ancor prima della pandemia e peggiorate dalla stessa – fa sapere, attraverso la voce della Dott.ssa Simonetta Beccari, Responsabile dell’Ufficio Stampa, che “il 95% delle visite specialistiche è stato recuperato, grazie a quanto fatto, ovvero l’incremento del personale e delle ore di disponibilità degli ambulatori, le convenzioni con le strutture private accreditate e – continua –se è vero che per alcune specialità, come nel caso dei prelievi, ad esempio, l’attesa è maggiore a causa della necessaria sanificazione, si tratta comunque di tempi ragionevoli e misurati. In ogni caso – assicura – entro il 31/12/2020 si tornerà a regime e le mammografie saranno recuperate tutte”.
La risposta rincuora, ma quando incalzo chiedendo quale sarà il destino del Centro Unico di Prenotazione dell’Ospedale di Cento che, da mesi, non svolge servizio di prenotazione di visite ed esami specialistici, la Dottoressa Beccari non può proseguire in modo ugualmente rassicurante ed afferma: “il CUP è stato chiuso per evitare l’affluenza in ambienti che si presentano piccoli e promiscui e che non sono dunque adeguati a mantenere le distanze necessarie; resterà quindi chiuso fin quando la situazione sarà come quella attuale. Questa
emergenza ha messo – e metterà ancora – in evidenza le varie problematiche legate al mantenimento e alla gestione della Sanità Pubblica; ricordiamo il problema della mancanza di operatori sanitari che – nel nostro caso – è stato ampliato e che – possiamo affermare – rimarrà nelle strutture”.
Di certo il problema della carenza del personale è un nodo cruciale e gravoso; è anche vero però che il nostro Paese, soprattutto in questa circostanza, non ha sfruttato l’occasione per riscattarsi e dar prova di essere in grado di dare merito al valore e al sudore di quei camici bianchi tanto acclamati ed applauditi in pandemia, e dimenticati poi “nella stagione dei bikini”; quando i riflettori si sono spostati dalle corsie alla corsa all’hotel convenzionato. Le luci si sono accese sulla Sanità ma mancavano “gli eroi” protagonisti.
Secondo gli ultimi dati, sono ben 9000 i medici che, negli ultimi otto anni, sono fuggiti all’estero. Più che di fuga di cervelli, bisognerebbe parlare di fuga dal demerito. Anche su questo bisognerebbe riflettere e agire “in tempi utili”, almeno stavolta!
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