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L’ULTIMO SALUTO A MONS SAMARITANI

DiGiuliano Monari

Nov 22, 2013

Di Giuliano Monari – Fotoservizio Lia De Lucafunerale samaritani 21nov2013

Il mondo ecclesiastico e culturale ferrarese ha dato l’ultimo commosso saluto a mons. Antonio Samaritani. Il prelato è morto all’ospedale di Cento all’età di 87 anni. Ieri le esequie in San Lorenzo alla presenza dall’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri. Moltissime le autoritò che hanno presenziato alla cerimonia funebre, sia dal Comune di Cento che da quello di Comacchio. Nato a Comacchio il 25 maggio del 1926, ordinato sacerdote a Cento l’11 giugno del 1949, Samaritani divenne poi parroco di Medelana dal 1956. Dal 1964 sarà poi canonico onorario della Basilica Collegiata di Cento. Poi nel 1974, un terribile incidente, in autobus mentre accompagnava i parrocchiani, costrinse monsignor Samaritani ad anni di interventi chirurgici e ricoveri ospedalieri fino al 1977 quando, con l’appoggio della curia di Ferrara, si è ritirato a tempo pieno nella sua casa di Cento ad una vita di studi. È stato insegnante di storia e filosofia nel liceo del Seminario di Ferrara, socio della Deputazione ferrarese di storia patria dal ’60 e consigliere dall’ ’85, oltre ad essere componente ordinario dell’Accademia delle scienze di Ferrara. Lungo anche l’elenco dei riconoscimenti. Monsignor Samaritani ha ricevuto il Premio stampa dall’associazione di Ferrara nel 1997, e nello stesso anno divenne cittadino onorario di Comacchio, mentre nel 1998 il Comune di Ferrara gli assegnò la medaglia d’oro per la cultura. Ha ricevuto non solo il premio Melvin Jones del Lions club nel ’94 e il Paul Harris del Rotary Club nel 1999, ma anche il riconoscimento “Città di Cento” nel 2007. Tra le quasi 400 pubblicazioni, da lui curate o realizzate in collaborazione con numerosissimi studiosi e docenti, moltissimi testi avevano come soggetto Cento, anche un prezioso testo sulla Partecipanza Agraria centese. Era inoltre socio della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento. Ieri l’ultimo saluto, presenti i Gonfaloni di Cento, Comaccio e della Partecipanza Agraria di Cento, in San Lorenzo. Le esequie sono state officiate dall’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, monsignor Luigi Negri. Lo stesso vescovo, insieme all’intera Diocesi, porgendo le condoglianze ai familiari e «offrendo a Dio preghiere per la sua anima», ha ricordato monsignor Samaritani come «esempio di vita sacerdotale e valentissimo esperto di fama internazionale in materia di storia ecclesiastica». La salma è proseguita in corteo verso l’ultima dimora terrena del prelato nel cimitero monumentale di Cento.

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Il ricordo del nipote Andrea Samaritani in una lettera aperta.

Ciao Zio Don Tonino, così ti abbiamo sempre chiamato.
Due settimane fa al dottore dell’ospedale hai detto, con la tua serenità di sempre: “Sono pronto”, ma sappiamo tutti che non ti riferivi solo all’operazione. Eri pronto da tempo. Sapevi che la storia degli uomini è questa. Sapevi che la vita è amore e passione per le storie di ognuno di noi. E’ la Storia che ci rende uomini.
Spero solo di avere ereditato almeno un briciolo della tua infinita curiosità che ti ha spinto a non mollare mai le ricerche, a non dare mai per scontato niente, alla caparbietà che ti ha portato ad approfondire sempre le dinamiche storiche. Con Luciano Chiappini, Adriano Franceschini e Don Enrico Peverada eravate imbattibili. Quattro “fratelli” di studio e ricerche. Mi raccontavi che le vostre ricerche erano complementari: “Franceschini prendeva appunti di tutto, studiava gli ebrei e le confraternite, io approfondivo i frati di penitenza collegati alle confraternite nel mondo francescano, Chiappini sviscerava gli Estensi, Peverada era sul versante filologico. Scrivevamo ognuno per conto proprio e poi ci scambiavamo le informazioni, durante riunioni spontanee a casa di uno o dell’altro”.
Nella mia fantasia vi vedo ancora insieme, a cercare di capire, a provare di illuminare le zone d’ombra della storia, soprattutto quella minore, quella dimenticata.
La storia locale di Comacchio, di Spina, di Pomposa, di Voghenza, di Cento, di Bondeno, di Ferrara, e di tanti altri centri grandi o piccoli che siano. Una immensa, grande e affascinante terra che era il vostro giardino, da esplorare con lo stesso stupore dei bambini.
“Io sono diventato storico delle chiese locali”, ci hai raccontato in un video che ti abbiamo girato insieme a mio fratello Mario nel 2008, “ma il mio desiderio era quello di diventare storico della chiesa primitiva. Però bisognava andare dai gesuiti a Roma per 4 anni. Non ho potuto per mancanza di risorse economiche. Ho invece studiato alla scuola Gregoriana, sempre a Roma, con una tesi in Storia della Morale medievale. Da allora mi sono sempre dedicato allo studio, con un metodo mio. Non mi sono mai accontentato degli archivi di stato, in molti studi ho allargato la ricerca anche agli archivi storici delle singole diocesi sparse per l’Italia. Ho sempre rifiutato l’idea che la storia si possa ricostruire solo a partire dai grandi centri abitati, ho invece sempre pensato e favorito la ricerca locale perché è quella che ti fa capire più nitidamente e nel profondo i processi storici. Ho sempre avuto riserve sull’assioma che la Storia sia Maestra di vita. Non lo è, per fortuna, sennò si ripeterebbe sempre uguale, la storia non è ciclica, non è mai uguale. Ci possiamo fare ricchi del passato ma ricordiamoci che lo conosciamo solo per prototipi, senza le sfumature minime che invece ci svelano le cronache locali. Nella storia non troviamo delle fotocopie per l’oggi, troviamo delle analisi frammentate, delle esperienze, la storia evenenziale, minuta, delle piccole cose, di una società che è molto variegata. A Ferrara, ad esempio, si tende ad avere troppe volte come riferimento Renata di Francia, calvinista, mentre non si pensa abbastanza a Vittoria Colonna, valdesiana, che rappresentava una corrente preprotestante. Però queste ipotesi di studio mi hanno sempre imbarazzato e creato ansia, l’idea di introdurre e proporre chiavi di lettura nuove, nella produzione di documenti scientificamente inattaccabili, non è mai stata semplice per me prete di campagna”.
Ti venivamo a trovare la domenica pomeriggio in quella chiesa, nella nebbia della campagna. Io e Mario saltavamo sui tappeti e sulle parallele, in libertà, in una palestra per qualche ora tutta a nostra disposizione, mentre tu nella canonica a fianco, malamente riscaldata, raccontavi ai nostri genitori, Sandro e Maria, la tua vita in quel borgo, da parroco di frontiera, per vent’anni, nel paese più scristianizzato della provincia di Ferrara: Medelana. “Piansi quando mi dissero che dovevo diventare il parroco in un paese di novecento anime, nella quasi totalità di condizione bracciantile, pressoché atea. La generalità dei nuclei operai andava fiera di non credere più, di non essere più -superstiziosa-. Però c’era tra loro una grande solidarietà umanitaria che era il nostro punto d’incontro. Un borgo che non si era piegato al Fascismo e questo avvicinava i comunisti e i pochi cattolici praticanti. Sono stati gli anni più belli della mia vita, perché si era creato un rapporto sincero e leale con gli abitanti di Medelana, che mi sono stati vicini per sempre”.
Nei pranzi di famiglia, quando c’eri tu, sul tavolo della festa, tra i piatti di tortellini, il pane e il vino, spuntavano magicamente, come giocattoli o piccoli plastici, il campanile dell’abbazia di Pomposa, il Trepponti e il portico dei Cappuccini di Comacchio, un crocefisso ligneo dimenticato, il Castello di Ferrara, il tozzo campanile romanico della chiesa di Medelana. Sculture immaginarie, visioni che apparivano tra il fumo dell’arrosto e del purè. Erano le immagini che uscivano dai tuoi racconti, dalle tue storie. Icone imprescindibili che si formavano dentro di me, che diventato grande ho poi fotografato più volte, sempre attraverso i tuoi occhi e le tue descrizioni pronunciate con dovizia di particolari, garbo e semplicità.
Da Cento a Comacchio, la provincia di Ferrara è un territorio ricco di sfumature e di diversità. “Mi sono sempre tenuto in allenamento, saltando dall’alto ferrarese al basso, fino al mare. Dalle due parti opposte di una provincia unica, ma simbolicamente divisa. Lo stemma della provincia di Ferrara non è unitario, è composto da tre parti, Ferrara, Comacchio e Cento. Non è una unità, è una giustapposizione, è la sintesi di un processo storico in itinere. Io ho cercato di mettermi nel solco della ricongiunzione storico-geografica dell’intero territorio provinciale. Mi auguro che chi proseguirà gli studi vada in questa direzione, dell’unità territoriale da conservare”.
Mi ha sempre colpito il tuo spirito ecumenico, nella ricerca, a volte impossibile, di una sintesi culturale o geografica.
In questi giorni ho ripreso tra le mani un tuo inedito scritto che hai intitolato “Vicende e pensieri di un prete della Bassa Ferrarese della seconda metà del secolo XX” amabilmente trascritto da Don Andrea Zerbini, dove in forma diretta e autobiografica racconti la tua vicenda umana tra fede, ricerca storica e vita quotidiana. Alla fine ti rammarichi per non aver goduto abbastanza della musica, dell’arte, della poesia e delle scienze esatte, preso com’eri dalla ricerca storica a tempo pieno. Ti sei privato di questi piaceri per noi. Per l’intera comunità ferrarese.
Ti sei preparato all’uscita di scena dal teatro della vita con la minuziosità che ti ha contraddistinto sempre, hai indicato ai tuoi fratelli Sandro e Teresa l’abito da indossare nella bara, dando disposizione su tutto il resto. Con la lucida consapevolezza di essere una persona con una biografia che si completa con la morte, come lo sono state le infinite biografie che hai studiato.
Ti voglio ricordare insieme ai miei fratelli e ai miei cugini, i tuoi cari nipoti.
Ci rimangono i tuoi 353 libri che hai scritto direttamente o curato con altri autori, la tua imponente Biblioteca, i tuoi appunti scritti con una grafìa quasi araldica, i tuoi oggetti così carichi di vita vissuta. Ci portiamo nel cuore la tua dolcezza, il tuo sorriso sincero e leggero, la tua lucidità e la tua grande generosità, anche nei nostri confronti, piccoli come siamo rispetto a te.

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