• Sab. Nov 23rd, 2024

La tradizione popolare della contessa Matilde di Canossa nel persicetano e nel centopievese

Di Vittorio Toffanetti

Non è ancora del tutto scomparsa tra le famiglie dei partecipanti di Cento e Pieve, così come tra quelle di S. Giovanni in Persiceto, la tradizione matildica, secondo cui le terre oggetto delle concessioni enfiteutiche dell’ Abate di Nonantola e del Vescovo di Bologna dei sec. XII e XIII, da cui è derivato il patrimonio fondiario delle rispettive Partecipanze, sarebbero state donate anticamente alle originarie comunità rurali dalla munifica Contessa, ultima rappresentante della potente dinastia dei Canossa.

Ma siccome non si è mai rinvenuto alcun documento contenente le asserite donazioni, la tradizione popolare di “Donna Mitelda” (nel centopievese) e “Donna Matelda” (nel persicetano), è rimasta relegata alla sua apparente ingenuità storico-politica e non è mai stata fatta oggetto di una approfondita disamina.

Eppure se ha messo radici così profonde da conservarsi a tutt’oggi tra le nostre comunità, essa nasconde sicuramente una qualche verità storica che attende di essere compiutamente svelata.  

Può aiutarci in questo un episodio accaduto nell’a. 1664, sul quale la storiografia matildica non si è mai soffermata.

In quell’anno le famiglie di partecipanti persicetani insediate nel territorio della nuova Parrocchia di S. Matteo della Decima, si appellarono alla tradizione matildica per contestare al parroco Don Stefano Panizzi il diritto a riscuotere le primizie sui loro prodotti agricoli, costringendo il prelato a promuovere una controversia giudiziaria.

La lite fu decisa dalla Sacra Romana Rota con sentenza del 30.01.1665 della quale si conosce soltanto il seguente breve stralcio:
Super primitiis bonorum quae familiis Terrae S, Johannis in Perseceta tunc (h)abitantibus donata fuerunt a clarissima memoria Comitissae Matildae, cuius generosa liberalitas celebrat…

Purtroppo non conosciamo il testo integrale della sentenza, che consentirebbe una completa valutazione dell’episodio, ma è certo che nella circostanza il supremo tribunale ecclesiastico ha riconosciuto l’esistenza di un antico rapporto diretto tra la Contessa e la originaria comunità rurale di S. Giovanni in Persiceto.

Più che ad una donazione di terre, come è nella ingenua tradizione popolare, è logico pensare ad un rapporto livellario (enfiteutico) grazie al quale la suddetta comunità si era vista riconoscere formalmente dalla Contessa, o dai suoi vassalli, il possesso e lo sfruttamento economico dei boschi, delle valli e dei pascoli adiacenti al primitivo villaggio.

Gli studi matildici avevano già rilevato l’esistenza di analoghe concessioni, ma limitatamente ai territori di Reggio e Mantova.

E’accertato comunque che i Canossa, come del resto tutti i grandi feudatari dell’Europa altomedievale, hanno perseguito una politica di colonizzazione del territorio tesa a valorizzare le comunità di rustici, favorendone l’insediamento ai margini delle aree incolte mediante l’incentivo di esenzioni da gravezze e tributi, secondo un rapporto che ha il suo antecedente remoto nei compascua o comunalia del diritto romano, o nella arimannia di derivazione longobarda e che si è conservato sino ai nostri giorni, senza soluzione di continuità, negli usi civici delle comunità montane.

Sulla base di queste antiche concessioni, dunque, anche le nostre comunità rurali del persicetano e del centopievese, avevano acquisito prerogative o veri e propri diritti consuetudinari in relazione allo sfruttamento  delle terre incolte e sviluppato nel tempo un certo qual grado di autonomia amministrativa nei confronti del Dominus loci.

La stessa Matilde, nell’atto di restituire a Diocesi e Monasteri gran parte delle terre che componevano il suo immenso dominio, si era preoccupata di salvaguardare le consuetudines et usancie delle comunità di rustici.

Quando, con la sua scomparsa avvenuta  nell’a. 1115, si dissolse il dominio canossiano, per le nostre comunità la Contessa Matilde rimase probabilmente il simbolo delle autonomie acquisite, di fronte alle vecchie e nuove autorità territoriali dell’Abate di Nonantola e del Vescovo di Bologna, le quali proprio allora cominciarono a contendersi le signoria sulle nostre terre.

Sicché le concessioni enfiteutiche dei secc. XII e XIII, da parte di queste autorità ecclesiastiche a favore delle comunità rurali di S. Giovanni in Persiceto, di Cento e di Pieve, in realtà non concedevano un quid novi, ma rappresentavano il riconoscimento di prerogative e diritti già acquisiti, dettando però le “regole del gioco” del nuovo signore. Solo accettando questa interpretazione storica si evita alla tradizione popolare persicetana e centopievese legata alla figura della munifica Contessa Matilde di Canossa, di restare per sempre una ingenua leggenda.