L’artigianato è una delle espressioni più tipiche dell’Emilia-Romagna: micro, piccole e medie che siano, sono le forme di impresa più diffuse nei nostri territori. Si trovano ovunque, anche nei posti più isolati, tanto che nell’Appennino oltre l’80% delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti è impiegato in un’impresa artigiana. E coprono una grande varietà di comparti, da quella che offre servizi all’azienda, piccola ma sofisticata, che opera nel biomedicale o nella meccanica di precisione, che spesso lavora con i grandi marchi internazionali e investe in innovazione, ricerca e sviluppo.
Sono dati e analisi che ho avuto modo di ritrovare nel Libro Bianco elaborato da Confartigianato, l’associazione che, assieme a CNA, rappresenta la gran parte di queste imprese. Vi si trovano tante proposte per rendere più efficace il lavoro della Regione Emilia-Romagna nei prossimi 5 anni, con forti richiami alla responsabilità sociale di un sistema di imprese che ha le proprie radici ben salde nelle nostre comunità: qui sono nate e prosperano, qui trovano i talenti che sfornano ogni giorno prodotti all’avanguardia.
Uno sguardo, quello del Libro Bianco, nel quale gli interessi specifici delle MPI (accesso al credito per gli investimenti, bandi e provvedimenti che si attaglino alle loro dimensioni, formazione, rinvigorimento dell’attrattività dell’impresa artigiana verso le giovani generazioni, abitazioni per la manodopera immigrata, eccetera) si intrecciano con i bisogni della cittadinanza, con le traiettorie di invecchiamento della popolazione, con gli investimenti nella transizione ecologica e digitale.
Un bell’esempio, molto materiale su cui riflettere e, soprattutto, il riconoscimento che il ruolo dei corpi intermedi, che negli anni c’è chi ha voluto ridimensionare, resta fondamentale nella società e nella costruzione di politiche pubbliche che guardino al benessere di tutta la cittadinanza e non solo di una piccola parte