Di affrontare il problema da un altro punto di vista, quello di una donna che per fortuna non ha subito violenza ,ma può dare una visione diversa dalla mia,dai politici in generale e dagli addetti ai lavori. Ho chiesto ad una mia amica il suo pensiero sul tema. Gentilmente si è prestata e ha messo nero su bianco il tutto . La mia amica si chiama GIBERTI ELISABETTA e questo che mi appresto a leggere è il suo soliloquio ,come l’ha definito lei stessa. “Sono ancora viva” rubo il titolo di un libro di Elena Guidieri e Chiara Brilli che parla di questa ferita immensa, che attraversa la società e come un dardo incandescente colpisce le vite di tutti, senza distinzione culturale, sociale, economica, religiosa ed anagrafica. Ammirazione immensa verso queste donne e i figli che con loro attraversano quest’inferno, corredato di spine burocratiche assurde e senza fine. “Sono ancora viva” nonostante lo stalking sia oggetto di discrezionalità, “sono ancora viva” nonostante solo negli ultimi tre anni abbiamo assistito a vari indulti, indulti mascherati e sconti di pena di 75 giorni ogni sei mesi di buona condotta. (Fonte sito del senato art 4). “Sono ancora viva” nonostante le interpretazioni e le discrezionalità della legge. “Sono ancora viva” nonostante si urla giustizia ma gli ingranaggi della stessa siano lenti, insufficienti, assurdi. Quale sarà la nuova sfida e quali sono le radici su cui buttare il sale? La sfida più grossa è promuovere la cultura: la donna deve smettere di essere considerata come oggetto da possedere, contenitore, soprammobile da coprire. Bisogna promuovere la cultura della donna: di ieri 24/11/2015 la sentenza in Ticino che vieta categoricamente il burqa, primo passo verso un importante cambio di mentalità. Ala al Aswani riporta ricerche molto interessanti nel suo libro “La rivoluzione egiziana” dove dimostra come nei paesi più integralisti ,dove velo, niqab e burqa, sono un obbligo rigidissimo…siano in realtà i paesi con il maggior numero di violenze sessuali e domestiche nonostante la difficoltà nel denunciare. Un’analisi psicologica riporta come la necessità di coprire la donna, libera l’uomo dal senso di responsabilità che deve avere nel gestire i propri istinti. L’uomo si sente dunque legittimato a disporre della donna come vuole, in quanto spersonalizzata è resa un oggetto. Radici di questa cultura sono parte anche del nostro Paese, il velo non è un precetto solo religioso ,ma è più culturale infatti ricordo che il suo uso è stato anche Cristiano (Corinzi 1, 11,5-6) e anche il Talmud babilonese ne ha traccia. Portarlo ha radicato nelle culture dei popoli di varie religioni, il pensiero intrinseco della donna legittimata ad esistere solo se posseduta da un uomo, solo se dignitosamente velata agli occhi del mondo intero. Il corpo come esca, il velo come giogo, pensiero che ha attraversato tutte le grandi religioni monoteiste: la donna può esistere solo come riflesso dell’uomo. Se l’excursus religioso vi intimisce perché accecati da un falso politicamente corretto, vi ricordo che anche la filosofia morale precristiana, detta stoica, affronta il velo come simbolo di un’altra verginità, che non si riferisce solo a quella fisica, ma morale e di condizione di vita accettabile solo se soggiogata al potere maschile. Questi richiami per ricordare che la condizione della donna è sintomo dell’ emancipazione politica e culturale di un paese. E’ necessaria dunque una rivoluzione dei simboli, supportata da leggi che diano la certezza della pena, da politiche familiari serie e più cospicue, per liberare la donna dalla radicata è profonda ideologia maschilista, che la vede come unica responsabile della mancanza di moralità.