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LE CHIESE PIEVANE E LE PRIME COMUNITA’ RURALI NEL PAGUS PERSECETA

DiVittorio Toffanetti

Lug 3, 2024

Il ruolo egemone svolto nel Pagus Perseceta dal Monastero benedettino di Nonantola aveva portato alla prematura scomparsa di altri cenobi, o semplici “celle benedettine” dipendenti dal lontano Monastero di Monte Cassino, presenti nel ducato di Perseceta, forse anteriori o coevi al Monastero di Nonantola,  fondati probabilmente per volontà del re longobardo Desiderio, dei quali è menzione nel prezioso Breviario di Giovanni Preposto dell’a. 899.

 Si tratta fra gli altri dei monasteri di San Benedetto in Adili, di San Donino in curte Argele, di San Salvatore di Pontelongu, tutti localizzabili in territorio di Sant’Agata Bolognese; del monastero di S. Maria di Laurentiatico, situato nell’omonima borgata appena a nord di S.Giovanni in Persiceto e dei monasteri di S.Martini iuxta stratam petrosam, di S.Johannis in Curte Frassenetuli, di S.Vitalis in Curte Carderaria. (1)

 Piccoli cenobi benedettini, privi di vita piena perché non autonomi e per giunta dipendenti da un centro molto lontano, i quali probabilmente avevano cercato e trovato tra le nostre valli e distese boschive, non solo condizioni di solitudine ideali per la meditazione, il raccoglimento e la preghiera dei monaci, ma probabilmente anche un sicuro rifugio, un riparo naturale lontano dalla minaccia e dall’orrore delle invasioni barbariche che ancora imperversavano (2).

Cenobio benedettino

Tra le terre del Pagus Perseceta dipendenti dal Monastero di Nonantola già sul finire del sec. VIII, vanno annoverate le Corti di Susiatico, Ducentola e Casteniolo, i Fondi Persicido, Postmano e Liveratico in territorio persicetano; La Corte di Cocciano, la Corte Siconia (o del Secco) e la Corte Sabiniana, confinate tra il Panaro e il Rosalese, corrispondenti alle odierne Crevalcore, Palata Pepoli, Galeazza e Bevilacqua.

 Queste Corti e questi Fondi compaiono tra le terre donate al Monastero di Nonantola dai duchi bizantini Orso e Giovanni, negli anni 752,778 e 789.

 Le Corti di Cocciano, Siconia e Sabiniana furono donate al Monastero dai duchi longobardi Rotari e Mechi nell’a.800.

 Di queste antichissime donazioni si conservano nell’archivio nonantolano copie e transunti risalenti ai sec. XI-XII , fabbricati dagli stessi abati, non si sa con quale fedeltà all’originale, per legittimare e difendere il loro possesso su quelle terre del Pagus, di fronte alle contrapposte pretese dei Vescovi di Bologna.

  I quali non stavano da meno e fabbricavano anch’essi false donazioni a loro favore, come quella fatta nell’a. 946 dal Marchese Almerico e Franca, sua moglie. (3)  

 O come il “falso placito di Rachis” dell’a. 969 che, con toni vagamente leggendari, narra di una lite confinaria tra la Diocesi di Bologna e quella di  Modena, risolta attraverso una specie di ordalia, o giudizio di Dio: “Si elessero due homini robusti et gagliardi, uno per ciascuna parte, et fu ordinato che ambedue si dovessero partire dalle chiese loro lungo la strada Predosa (l’odierna via Bazzanese), et dove al tramontar del sole si incontrassero, quelle fossero le confina”. Pare che i due corrieri si ncontrassero sul torrente Muzza, dove fu posta la pietra confinaria.

 L’episodio, a prescindere dalla sua autenticità, rappresenta il precedente remoto di quella lunga contesa tra le Diocesi e i Comuni di Bologna e Modena, celebrata nel famoso poema “La secchia rapita” di Alessandro Tassoni, che si concluderà con il forte arretramento della giurisdizione modenese.(4)  

 Tra il sec. IX e il sec. X, nella loro missione evangelizzatrice e di cristianizzazione del territorio, compiuta in forte reciproca competizione, il Monastero di San Silvestro di Nonantola, da una parte e la Diocesi di Bologna, dall’altra, per suggellare ogni significativa avanzata della colonizzazione, erigono le prime chiese pievane ai margini delle selve e delle valli disseminate nel Pagus Perseceta, sia al servizio pastorale delle prime popolazioni di rustici che vi si sono insediate, sia come simbolo e strumento della propria signoria feudale. (Abate-Conte e Vescovo-Conte).

 Sorgono così, nella parte occidentale del Pagus, tra il corso del Panaro e del Reno, le chiese pievane di S. Giovanni in Persiceto (già citata in un atto dell’a.936), la pieve di S. Agata Bolognese, la pieve di San Martino di Crevalcore nella Corte di Cocciano, di S. Giovanni Battista della Palata nella Corte del Secco. Tutte chiese che ancora agli inizi del sec. XII risultano dipendenti dal Monastero di Nonantola, cui sono obbligate a corrispondere canoni enfiteutici, segno di una dipendenza non solo spirituale. (5) 

Chiesa pievana

 Mentre nella parte orientale del Pagus, tra corso del Reno e del Savena, ad opera della Diocesi bolognese, sorgono le chiese pievane di S. Vincenzo di Galliera (già citata in un atto dell’a.962), di S. Martino in Gurgo, di S. Pietro in Casale e di S. Maria Maggiore nel centopievese.(6)

 Il possesso e lo sfruttamento collettivo delle aree incolte demaniali situate ai margini del villaggio rappresenta l’interesse fondamentale delle comunità di rustici che sono raccolte e costituite attorno alle rispettive chiese pievane e che traggono da quel possesso collettivo la fonte principale se non unica del proprio sostentamento.

 Questa attività forma oggetto di prerogative, se non di veri e propri diritti consuetudinari da sempre rivendicati dai rustici nei confronti del loro dominus loci. Secondo un rapporto che ha il sua antecedente remoto nei compascua, o communalia del diritto romano, o nella arimannia di derivazione longobarda e che si è conservato sino ai nostri giorni, senza soluzione di continuità, negli usi civici delle comunità montane. (7)

 Lo strumento che meglio si presta al Vescovo di Bologna e all’Abate di Nonantola per sottomettere alla propria giurisdizione le comunità rurali del Pagus Perseceta è evidentemente quello di riconoscere ad esse il pacifico godimento delle aree incolte e di confermare le prerogative consuetudinarie in tal senso acquisite.

 L’atto solenne di investitura col quale il Vescovo e l’Abate attribuiscono alle comunità rurali il possesso esclusivo (dominium utile) del bosco e della valle, prende la forma della concessione enfiteutica ad renovandum, un antico istituto giuridico già noto al diritto Giustinianeo. (8)  

 Nell’atto la comunità riconosce la signoria dell’autorità concedente (dominium eminens) e vi si sottomette con un patto di vassallaggio, o giuramento di fedeltà. Si impegna altresì a corrispondere il prezzo della concessione, i canoni delle sue periodiche rinnovazioni e le decime dei prodotti.

 Il signore concedente ottiene così un duplice risultato: Innanzitutto un risultato politico, di rafforzamento della propria signoria, grazie al sostegno delle comunità rurali assoggettate.

 Emblematica in tal senso è la concessione enfiteutica dell’a. 1058 con la quale l’Abate di Nonantola Gotescalco concede ai rustici nonantolani il privilegio di utendum et pabulandum atque ligna incidendum in tutti i pascoli, i boschi e le paludi di proprietà del Monastero, a patto che si impegnino a costruire le mura attorno alla città.

 In secondo luogo un risultato economico che, attraverso l’esazione dei canoni e delle decime, gli assicura il controllo dello sfruttamento delle aree incolte e i profitti che ne deriveranno con il progredire dell’opera di bonifica.

  Significativa è la concessione enfiteutica con la quale l’Abate di Nonantola Raimondo riconosce agli uomini di Crevalcore i diritti di caccia, di pesca e di legnatico per tutto il territorio del Secco, “a patto che dei cinghiali presi si rechino la testa e due unghie alla casa del Monastero. Il cui Massaro o Castaldo darà quattro pani a chi recheralle….e che la decima parte dei pesci e dei gamberi che si pescheranno, si porti alla casa suddetta

 Dal canto loro, con il possesso esclusivo del bosco e della valle, alle comunità rurali viene riconosciuto anche l’esercizio di una sia pur limitata giurisdizione civile (distretto) e penale (bando) su tutto il territorio oggetto della concessione, la quale costituisce cosi’ il primo riconoscimento formale delle comunità stesse; non più semplici universitas hominum, ma istituzioni politico-ammnistrative e, come nel caso della concessione enfiteutica del Vescovo di Bologna ai persicetani del 4 ottobre 1170 e quella ai centopievesi dell’11 aprile 1185, finisce per rappresentare il vero e proprio atto costitutivo del comune rurale.

 Con la enfiteusi del 1170 il Vescovo di Bologna Giovanni concede alla comunità di San Giovanni in Persiceto, rappresentata dai consoli Bernardo Annato e Rofredo de Cavallo, il possesso esclusivo del gran territorio incolto di Villa Gotica e Morafosca, corrispondente a tutto il settore orientale del territorio dell’attuale San Matteo della Decima e il cui confine orientale è indicato nella Curte de Cento et de Argele

 A presidio di questo gran tenimento di Morafosca e Villa Gotica e ai margini delle sue valli e boscaglie, circa otto chilometri a nord di San Giovanni in Persiceto,è già insediato all’epoca in Contrada Livraticum un avamposto colonico di “ pionieri” persicetani, raccolti intorno alla antichissima chiesa dei SS Giacomo e Filippo di Liveratico, vero e proprio nucleo embrionale della futura popolazione di S. Matteo della Decima.

 La concessione è in perpetuo, salvo l’obbligo della comunità persicetana di chiederne formalmente la rinnovazione ogni cento anni, come atto ricognitivo del “dominium eminens” del Vescovo, al quale giura sottomissione e fedeltà.(9)

 Con l’atto del 1185, lo stesso Vescovo Giovanni concede alla comunità centopievese, rappresentata dai consoli Lambertucio Guidonis,, Cani et Martino de Funi et Falchino, di esercitare sul proprio territorio gli stessi diritti di bando e distretto risconosciuti da tempo (antiquitus) ai persicetani, unitamente alla gestione di una distesa di terreni boschivi posti ultra Rhenum (detta Guardata), confinanti con le terre di Morafosca concesse ai persicetani e che saranno causa di una annosa lite confinaria tra le due comunità (Il “Bosco della lite”. (v. infra cap.7) 

 Con tale atto la comunità centopievese, da un canto, si sottometteva al dominium eminens del Vescovo, ma dall’altro acquisiva anch’essa un proprio potere giurisdizionale grazie al quale garantirsi in futuro una sempre maggiore autonomia.

 A questa prima concessione di fine sec. XII il Vescovo di Bologna farà seguire nel secolo successivo una serie continua di concessioni enfiteutiche di terre a favore dei centopievesi che andranno a formare il patrimonio fondiario delle rispettive Partecipanze agrarie. (10)