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Marcia indietro sulla raccolta ’porta a porta’, Molti Comuni ci ‘ripensano’

DiGiuliano Monari

Set 20, 2021

Marcia indietro sulla raccolta ’porta a porta’. Come riporta il quotidiano on-line ‘QN’, dalle grandi città come Roma, Bologna e Bari, dal Nord al Sud Italia, da Pinerolo a Marsala, la raccolta differenziata porta a porta comincia a sollevare più di un ripensamento da parte di Comuni e cittadini, che devono fare i conti con la mancata puntualità dei ritiri e la difficoltà di tenere per giorni i rifiuti in attesa del passaggio dei furgoncini della raccolta.

Le cui “visite” hanno risentito anche della pandemia che, avverte Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, ha anche provocato un aumento degli imballaggi, con la preferenza dei prodotti confezionati. L’ultimo stop alla Pap, acronimo appunto di ’porta a porta’ riguarda il quartiere Settebagni di Roma per cui l’Ama, l’azienda della nettezza urbana, ha annunciato, per le strade strette e in salita, il ritorno ai cassonetti. Un percorso all’indietro che, nella capitale della sindaca “grillina” Virginia Raggi, era già iniziato in altri quartieri.

In pratica, un ammainare la bandiera del M5s issata nel 2012 a Parma dal primo sindaco “grillino”, Federico Pizzarotti, che estese la raccolta porta a porta a tutta la città. Anche se l’introduzione ibrida della raccolta a domicilio, in convivenza con quella stradale, era cominciata già qualche anno prima in grandi città come Milano, Napoli e la stessa Roma.

Tutti d’accordo sul fatto che si debba procedere – anche per le direttive europee – verso la raccolta differenziata. Secondo l’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti urbani, dei circa 500 chili di pattume prodotti all’anno da ogni cittadino italiano (con il primato di 663 in Emilia-Romagna) nel 2019 ne sono stati raccolti con la differenziata il 61,3% (+3,1% sul 2018, il doppio sul 2008).

Se gli italiani riciclano quasi 7 imballaggi su 10, come i tedeschi – e meglio dei francesi e sopra la media Ue – il problema è come farlo: con cassonetti e isole ecologiche o a domicilio? La raccolta porta a porta, spiega Andrea Lanz del Centro nazionale rifiuti di Ispra, “tendenzialmente ha il vantaggio di una migliore differenziazione dei rifiuti e un più diretto controllo”, anche per stabilire la “tariffa puntuale” basata sulla quantità di rifiuti prodotti e far crescere l’educazione ambientale multando chi non si comporta correttamente. Però presenta anche punti critici.

In primis i costi più alti. Secondo un’indagine di Utilitalia, prima della pandemia la raccolta porta a porta (circa il 40% del totale) costava 190 euro a tonnellate contro i 74 di quella stradale. Ma questo sistema comporta anche una maggiore efficienza logistica in mezzi e personale delle aziende per garantire la puntualità dei ritiri mentre, sottolinea Fabio Musmeci, ricercatore dell’Enea e fautore del porta a porta, le grandi aziende del settore, pubblico-private, “dettano legge e preferiscono la raccolta stradale con i camion per aumentare i rifiuti da portare agli inceneritori”.

Ma a sfavore di questo sistema c’è anche la difficoltà dei cittadini nel gestire i rifiuti organici, indifferenziato, plastica, carta, vetro, alluminio. E le evidenti difficoltà dei condomini che, avverte Bazzana, “spesso non hanno gli spazi per mettere decine di contenitori” creando non certo gradevoli aree di cassonetti dai diversi colori di plastica.

Così a Bologna, dove i cassonetti erano già tornati per l’indifferenziata due anni fa, la Lega propone zone ecologiche intelligenti, sull’esempio del Friuli, che premino in moneta o buoni spesa i cittadini virtuosi e il candidato sindaco del centrosinistra, Matteo Lepore, dice stop ai sacchi dei rifiuti sotto i portici dell’Unesco. Immaginando persino, con l’addio al porta a porta, il ritorno degli spazzini di quartiere. Fonte ‘QN’ on line

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